L‘insostenibile leggerezza della serie A

“Se non finisce il campionato purtroppo fallisce il calcio”. E’ questo l’ennesimo grido d’allarme lanciato ieri da Luigi De Siervo, ad della Lega serie A. Dietro quella frase, però, si nascondo un mucchio di cose e di realtà nascoste.

Il calcio, come molti altri settori dell’economia italiana, sono in forte sofferenza a causa dell’emergenza sanitaria: è una verità incontrovertibile. Così come le parole di De Siervo. Tuttavia, lontano da questi slogan ci sono altre verità inconfutabili, su tutte l’insostenibilità dell’intera sistema calcio. E per sistema intendo tutto, dai settori giovanili alle prime squadre. Perchè la stragrande maggioranza dei club viaggiano a ritmi (economici) superiori alle proprie possibilità, dove le uscite superano di gran lunga le entrate (e i diritti tv non bastano mai). E dove le banche sono spesso una temporanea ancora di salvataggio per molti club professionistici (soprattutto).

Si è detto più volte, giustamente, che crescere i giovani e rivenderli ai grandi club sia l’unica strada percorribile. Ma crescere giovani significa puntare sui propri vivai (i propri), insegnare calcio, diffondere valori, avere pazienza e coraggio, oltre ad allenatori preparati, possibilmente all’avanguardia. Questo significa investire cifre consistenti sui settori giovanili e non sulle prime squadre: potenziare gli organici, le strutture, le scuole.

Concetti risaputi ma spesso rimasti campati in aria. Come parole al vento. Questa è la strada… Tutto il resto è insostenibile, ancora di più in era di Covid-19. Tornare indietro non si può, andare avanti sì. Questo calcio e questa serie A, non hanno vita lunga, a prescindere dal Covid-19; il recente fallimento del Trapani e quello imminente del Livorno, oltre a diversi altri club professionisti in fortissima sofferenza economica, sono solo gli ultimi esempi del decadimento generale. Esempi che a Parma abbiamo vissuto in prima persona e che evidentemente non sono serviti a nulla.

 

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